domenica 28 dicembre 2014

Ich speak Français!

Odio la Geografia, pertanto, lo stereotipo dello studente italiano medio mi calza a pennello. Eppure la ammiro tanto. Ammiro il suo intento poetico di avvolgere la Terra con la carta: un abbraccio millenario, frutto di calcoli e di ricerche, ma soprattutto di una spiccata lungimiranza da parte dell’Uomo. 
Mi sono sempre chiesto il motivo per cui l’uomo abbia sentito il bisogno di raffigurare la Terra. Da Tolomeo a Marco Polo, il mondo è stato corteggiato dalle mani di innumerevoli uomini, intenti a dare un volto alla loro storia, nonché alla loro cultura.
Oggi voglio presentarvi una mappa alquanto particolare: la cartina delle lingue indoeuropee.

A un primo sguardo, si intravedono chiaramente delle scritte, incastonate ognuna nei vari riquadri. Inoltre, la mappa è composta sostanzialmente da sei gruppi: italico, celtico, iraniano, slavo, baltico e germanico. Questi “ceppi linguistici” si diramano a loro volta, ospitando le cosiddette “lingue moderne”.
La mappa non presenta una collocazione geografica delle varie lingue, ma ne riporta la parentela, come in un albero genealogico. A incantarmi non è la loro disposizione, ma la forza magnetica che le unisce insieme. 
Ho sempre diffidato delle lingue, spesso addirittura odiandole, come la Geografia. Mi apparivano inutili, prive di senso, ed ero convinto che la lingua più importante per un uomo dovesse essere la propria, non quella dello straniero. Crescendo, per fortuna, la mia visione si è raddolcita, ma soprattutto erudita. Studiando in un liceo linguistico da due anni, ho imparato a confrontarmi con diverse civiltà, le quali hanno sempre condito di nuovi sapori la mia lingua. Per apprendere una lingua è necessario renderla propria, desiderarla, ma soprattutto accoglierla come “sorella” della propria lingua. 
L.C.

venerdì 19 dicembre 2014

Stagioni

Sicuramente i vostri genitori lo conoscono, meno probabilmente voi avete idea di chi sia, anche se forse l'avete sentito nominare: Francesco Guccini è uno dei “cantautori generazionali” che hanno accompagnato la via della maturità di chi ha preceduto le nostre classi.
Ma di preciso, cosa si intende per cantautore? Prima della comparsa dei suddetti, le canzoni avevano tre genitori: nascevano tra le mani di un melodista, si nutrivano con gli splendidi testi (solitamente d'amore) scritti dai parolieri, e davano un senso alla loro vita grazie agli interpreti, che in modo del tutto personale rendevano proprie quelle frasi. La parola cantautore è stata introdotta alla fine degli anni '50 del secolo scorso per identificare coloro che si permettevano di procreare canzoni come un unico genitore cantando i propri versi e componendo personalmente accompagnamenti musicali.
A quelli che iniziarono tale esperienza (artisti come Gino Paoli e Giorgio Gaber), si aggiunse anche un giovane, al tempo, Francesco Guccini, il primo tra loro a scrivere non solo canzoni d'amore, ma anche parole impegnate, scomode per i detentori del potere. Il modenese, che da fanciullo sognava di fare lo scrittore, da quel momento non è più uscito dalla vita degli amanti del genere musicale di cui è portavoce: le sue canzoni, in oltre 45 anni, hanno parlato di amori impossibili, di cultura, di odio verso le ingiustizie e di rivoluzioni, hanno fatto sognare milioni di giovani idealisti di cui l'Italia del tempo brulicava, e hanno cavalcato ben tre generazioni di irremovibili sognatori.

Grazie anche alla sua enorme competenza nella lingua italiana, Guccini scrisse testi degni dei migliori verseggiatori della storia, tanto da essere considerato lui stesso un grande poeta, diventando oggetto di studi scolastici come un esponente moderno della poesia nostrana. Per tutti questi motivi, il suo apporto alla letteratura italiana è stato fondamentale nella nostra storia più recente: l'emiliano, oltre a essere uno studioso dell'italiano sotto ogni suo aspetto, è anche autore di opere in prosa di vario genere, e continua in questo modo il suo lavoro di arricchimento letterario anche negli anni 2000.
Il cantautore-scrittore ha saputo così conquistare i cuori degli italiani grazie alle sue opere, è stato capace di abbattere i muri generazionali che spesso condizionano i rapporti nella società moderna e di riaprire le porte ideologiche dei nostri pensieri sbarrate dalla catastrofe delle guerre mondiali, quando i sogni non si sprigionavano in volo come farfalle, ma si accavallavano spietatamente come un gregge in transumanza nelle nostre menti.
L.V.

domenica 14 dicembre 2014

Come inchiostro tra le dita

Ho sempre amato scrivere. Fin dalla più tenera età le parole mi piacevano più delle caramelle. Le masticavo in fretta e furia e le sputavo fuori con foga. Per fortuna per i miei genitori, questa mia impulsività nell’apprendere parole nuove si placò non appena azzannai carta e penna, degustando per la prima volta l’inconfondibile dolcezza della scrittura.
Avevo trovato il modo per rincorrere la mia fantasia sui banchi di scuola e dipingere il mondo con le mie parole. Perché scrivere è come disegnare, colorando le nostre idee con l’inchiostro.
Il sogno di diventare scrittore si intrufolò nei miei pensieri non ancora incominciata la seconda elementare. Il desiderio frenetico di scrivere per professione mi fece ingozzare di nuove parole, sempre più buone. Un giorno, per caso e per fortuna, assaggiai una prelibatezza alquanto sfiziosa: la lettura.
D’un tratto venni risucchiato in un mondo del tutto nuovo. Jules Verne, Roal Dahl e J. K. Rowling entrarono nella top ten dei miei autori preferiti, capaci di sconvolgere ogni mia previsione sul finale del libro.
Benché ancora oggi mi sguazzare nella trama di qualche libro appassionante e mozzafiato, non riesco tuttavia a farmi cullare completamente dalle parole dell’autore di turno.
Mentre scrivo, invece, un dolce formicolio mi stuzzica le idee, l’inchiostro mi accarezza lo sguardo e si riversa sulla carta, la farina da impasto che più preferisco.
Qualunque sia la vostra passione, coltivatela al meglio e gustatevela: buon appetito!
L.C.

venerdì 5 dicembre 2014

Inno al calcio

Il calcio è spettacolo. Ventidue atleti che danzano su di un palco erboso attorno a un pallone, unico protagonista. 
Il calcio è vedere il pallone descrivere una traiettoria perfetta e girare vorticosamente su se stesso per poi trasmettere il moto rotatorio alla rete della porta. 
Purtroppo, al giorno d’oggi, il calcio è anche sinonimo di violenza. Una violenza difficile da gestire. Imprevedibile, come l’amore. Amore per la maglia. Amore per la squadra. Un amore infinito. 
Il calcio è tensione agonistica verso gli avversari. Soprattutto nello spogliatoio con i tuoi compagni. Pacche sulle spalle. Incoraggiamenti. Piccoli gesti ma grandi dimostrazioni. 
Il calcio è pensiero. E’ il pensiero ininterrotto e costante della partita da giocare, degli avversari che vai ad affrontare. Un pensiero che ti tormenta la notte prima della prestazione. Un pensiero che scompare quando gli scarpini affondano tutti e dodici i tacchetti nel manto erboso che ricopre il terreno di gioco. 
Il calcio è corsa, resistenza, orientamento, forza, velocità, equilibrio, reazione, flessibilità, apprendimento, controllo motorio, adattamento, coordinazione, ritmo, trasformazione, anticipazione...

Ma soprattutto il calcio è un urlo. Un urlo carico di gioia. Un urlo denso di entusiasmo. Ricco di felicità e di soddisfazione. L’urlo dei tifosi quando entri in campo. Si urla dopo una giocata sublime, un goal, un assist. Un urlo che ti fa capire che tu sei lì a giocare e che la tua bravura è riconosciuta, che ricompensa gli sforzi fatti. Sai che il sudore che gocciola non è sprecato. 
Perché l’amore che ci metti nelle cose che fai viene ripagato in altro amore. Sempre.
A.C.
L.C.