domenica 31 maggio 2015

Siamo noi giovani il Giovanni di domani

La prima volta che ho “conosciuto” Giovanni Falcone è stato grazie a un libro dello scrittore e giornalista Luigi Garlando. Pubblicato nel 2004, “Per questo mi chiamo Giovanni” è la storia di un bambino di Palermo che il giorno del suo compleanno scopre la vita e le gesta del celebre personaggio di cui porta il nome, assassinato perché osò ribellarsi e affrontare un mostro spietato di nome Mafia. 
Giovanni e suo papà Luigi saltano in macchina e incominciano un viaggio attraverso i luoghi chiave della vita e della morte di Falcone: dalla lapide commemorativa posta davanti alla casa natale del magistrato, all’uscita dell’autostrada per Capaci dove venne ucciso, fino ad arrivare in via Notarbartolo, dove oggi c’è l’Albero Falcone, tappezzato di messaggi e dediche.
Giovanni Falcone nacque il 18 maggio 1939 a Palermo, nel quartiere della Kalsa, in via Castrofilippo 1. Fin da bambino sembrava già pronto a combattere per difendere la pace, come testimoniano i parenti che lo videro nascere senza piangere tenendo i pugni stretti, proprio quando da una finestra entrò una colomba bianca. Eccellente studioso, concluse il liceo con il massimo dei voti e in seguito si trasferì a Livorno per frequentare l’Accademia navale. 
Giovanni Falcone allievo dell'Accademia navale di Livorno
Sebbene in poco tempo fosse stato assegnato allo Stato Maggiore per le sue attitudini al comando, successivamente tornò a casa e, seguendo l’esempio della sorella Maria, decise di “arruolarsi” nella Facoltà di Giurisprudenza all’Università degli Studi di Palermo. Nel 1961 si laureò con 110 e lode e tre anni dopo iniziò la sua carriera di magistrato a Trapani. 
Il primo vero impatto con il “mostro”, Falcone lo ebbe proprio in un processo contro le cosche del Trapanese, caso raro di attività di contrasto alla mafia. Leader del gruppo di criminali alla sbarra era Don Mariano Licari. Anni dopo, in un’intervista rilasciata dal magistrato, disse di lui:<< Mi imbattei in un boss di rango. Era Mariano Licari, un patriarca trapanese. Lo vidi in dibattimento, in Corte d’Assise. Era sufficiente osservare come si muoveva per intravedere subito il suo spessore di patriarca>>. Il processo contro Licari naufragò, ma quella battaglia servì da lezione al giovane magistrato, il quale successivamente si ingegnò per trovare prove più schiaccianti per incastrare i boss, ad esempio verificando gli accertamenti patrimoniali sulla loro consistenza economica e sulla provenienza di tanta ricchezza. 
Nel luglio del 1978 Falcone chiese il trasferimento a Palermo e incominciò a lavorare nella sezione fallimentare del tribunale. In quello stesso anno sua moglie Rita lo lasciò e tornò a Trapani, dove si era innamorata del presidente del tribunale della città.
Successivamente, Giovanni accettò l’offerta del magistrato Rocco Chinnici di passare nell’Ufficio Istruzione della sezione penale. A completare l’abbozzo del celeberrimo pool antimafia che si sarebbe formato di lì a pochi anni arrivò anche Paolo Borsellino, il quale divenne presto il miglior collaboratore e amico di Falcone.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
L’intuizione di Giovanni ai tempi dell’esperienza trapanese di indagare nei patrimoni dei boss si rivelò fondamentale per le prime inchieste ai danni dei criminali locali, i quali riciclavano il denaro sporco in imprese edili, come faceva Rosario Spatola, costruttore incensurato e molto rispettato perché dava lavoro a centinaia di operai. Come un cane da tartufo, Falcone scoprì la fonte dei loro guadagni, aprendo una finestra sull’immensa organizzazione di capitali di Cosa Nostra. Svelò gli stretti legami tra la mafia siciliana e quella americana che all’epoca gestiva il traffico di stupefacenti. Dopo l’omicidio di Gaetano Costa, procuratore capo di Palermo, anche a Falcone fu affidata la scorta.
Nel dicembre del 1980 approdò per la prima volta a New York, dove venne accolto con grande entusiasmo dai colleghi della Dea e dell’FBI, i quali stringono accordi e collaborazioni con il magistrato.
In seguito agli omicidi di due stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, i due magistrati e le rispettive famiglie vennero internati nel carcere dell’Asinara per motivi di sicurezza, dove però non si perdono d’animo e iniziano a preparare l’istruttoria dello storico Maxiprocesso di Palermo, avvenuto tra il 1986 e il 1987. Importantissima per il processo fu la collaborazione del pentito Tommaso Buscetta, attraverso la quale i magistrati conobbero fino in fondo il sistema mafioso, ma non scoprirono mai i legami politici con la mafia, poiché secondo il pentito lo Stato non era ancora pronto. 
Tommaso Buscetta al Maxiprocesso
La sentenza inflisse 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di lire di multe da pagare, segnando un grande successo per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia.
<<Grande Falcone! È meglio di un supereroe americano!>> esulta Giovanni.
<<Giovanni è un uomo normale che per vincere ha dovuto rintanarsi come un topo, nuotare di notte da solo in piscina, sposarsi come un ladro, rinunciare al cinema, al ristorante. E forse anche a una mamma.>> risponde papà Luigi.
Il gippone di Luigi si ferma in una rientranza dietro al guard rail sull’autostrada A29 nei pressi dello svincolo di Capaci. Sullo stradone si affaccia un grosso monumento di colore arancione sul quale vi sono incisi i cinque nomi delle persone che il 23 maggio 1992 vennero fatte saltare in aria da cinque quintali di tritolo posti in un cunicolo al di sotto della strada.
La strage di Capaci e il monumento in memoria ai caduti
Dopo avergli spiegato le dinamiche dell’Attentatuni, Luigi racconta al figlio:
<<Ero l’uomo più felice del mondo nel giorno più brutto per Palermo, che aveva perso il suo uomo migliore. Quell’uomo era morto anche per me, per difendere i miei negozi, la mia casa, la mia città. Per lottare contro il mostro al mio posto aveva rinunciato ad avere un figlio, cioè alla gioia più grande che si possa provare sulla terra.>>
<<Per questo papà mi chiamo Giovanni?>>
<<Sì, per questo ti chiami Giovanni.>>
 Per concludere, vorrei lasciarvi con una mia poesia: 


Fioriscono sull’Albero di Falcone,
frasi stupende, impronte di mani.
Scopro infine le mie di parole:
siamo noi giovani il Giovanni di domani
Leonardo Capobianco