domenica 26 aprile 2015

Non plus ultra - il folle volo di Ulisse

Impedire a un uomo di oltrepassare un confine è come stuzzicare la sua curiosità, sfidarlo a conoscere ciò che non conosce. Se poi quell’uomo si chiama Ulisse, fermarlo è ancora più difficile. 
Dal Medioevo ai giorni nostri, la figura dell’eroe più conosciuto e amato dei Classici è stata oggetto di interpretazioni da parte dei più grandi letterati come Dante Alighieri, il cui celebre incontro con Ulisse è descritto nel Canto XXVI della Divina Commedia.
Qualche millennio prima che il sommo poeta condannasse il re itacese all’Inferno, un ragazzaccio di nome Ercole si apprestava a rubare i bellissimi buoi di un certo Gerione, gigante con sei braccia e tre teste. Prima di incontrare il mostro, il semidio raggiunse lo stretto di mare tra Calpe e Abila, oggi conosciuto come lo Stretto di Gibilterra. Oltre quel confine i mortali non potevano andare. Così, per evitare incomprensioni, Ercole eresse due colonne molto alte, sulle quali vi incise la scritta: “non plus ultra”. Soddisfatto del suo operato, Ercole decretò che nessuno vi sarebbe andato oltre. 
Qualche tempo dopo, le previsioni di Ercole si rivelarono esatte e Nessuno vi andò oltre.
Tornato da una vacanza al mare durata vent’anni, Ulisse, il re di Itaca, non aveva alcuna intenzione di dedicarsi a una vita di tutto riposo in compagnia della moglie Penelope e del figlio Telemaco. Dopo aver ucciso i Proci, i principi che avevano cercato di soffiargli il trono durante la sua assenza, l’eroe dal multiforme ingegno si fa protagonista di un ultimo intrigante viaggio. Prima di partire, però, l'indovino Tiresia predice a Ulisse una morte “Ex alos”, che significa “dal mare” o “lontano dal mare”. Un’ambiguità che nei secoli successivi giovò ai più grandi poeti, scrittori e amanti della letteratura classica, che poterono spaziare con la loro fantasia immaginando la possibile morte del mitico eroe. Una delle interpretazioni più famose è certamente quella di Dante Alighieri, il quale riporta la sua versione dei fatti per bocca di Ulisse stesso, condannato nell’Ottava bolgia dell’Inferno. 

Quando

mi diparti' da Circe, che sottrasse
me più d'un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enea la nomasse,

né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né 'l debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta,

vincer potero dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;


Ulisse, avvolto da una lingua di fuoco, comincia a raccontare le sue disavventure dopo che ebbe lasciato Circe. Nonostante l'amore e l'affetto che egli provava per i suoi cari, decise di proseguire il suo viaggio alla scoperta di nuovi orizzonti, risultando un vero e proprio “lussurioso” del sapere, perciò condannato da Dante. Eppure, paragonando l’eroe omerico al poeta, i due protagonisti delle opere più famose della letteratura assumono delle caratteristiche estremamente simili. Entrambi sono esiliati dalla loro patria, Dante a causa di un conflitto politico e Ulisse perché è perennemente in alto mare. Inoltre, tutti e due amano avventurarsi alla scoperta dell’animo umano: Odisseo esplorando nuove terre e conoscendo nuovi popoli, il poeta fiorentino compiendo il suo viaggio immaginario nei tre regni dell'aldilà.
“O frati," dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d'i nostri sensi ch'è del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza"

In queste terzine, Ulisse si rivolge ai suoi compagni di viaggio con il suo celebre discorso sulla virtù e la conoscenza, per le quali gli uomini sono portati a vivere. Oltre a sfoggiare la sua retorica per convincere la ciurma a seguirlo, l’eroe omerico incarna l’ideale dell’uomo assetato di conoscenza, pronto ad ogni rischio per il puro piacere della scoperta. 
Se il Dante del Trecento condannava chi, come Ulisse, faticava a contenere la propria aspirazione a conoscere, credo che il Dante di oggi condannerebbe gli uomini e le donne chiusi nelle loro idee e mentalità, frutto dell’inezia che li caratterizza. 
Se l’Ulisse di Omero combatteva contro mostri di ogni genere per tornare in patria, l’Odisseo del duemila troverebbe molte più difficoltà per sconfiggerli, ma soprattutto per riconoscerli. I mostri contro cui si batteva Ercole erano così brutti che era quasi impossibile non spaventarsi. Difatti, la loro colpa era proprio mostrarsi agli umani. I mostri di oggi, invece, sono coloro che hanno paura e scappano dai “diversi”. Ormai delle colonne d’Ercole odierne sarebbero superflue: le barriere ideologiche sono di gran lunga le più possenti. 

e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.

Se per conoscere bisogna essere folli, per non conoscere bisogna esserlo ancora di più.
L.C.

domenica 12 aprile 2015

Take me to Love

Forse non è l’amore ad essere cieco, come sosteneva Shakespeare, bensì gli uomini che non lo sanno riconoscere. L’amore come lo conosciamo oggi, infatti, deriva dalla concezione imposta dal Cristianesimo, secondo cui l’amore è strettamente finalizzato alla procreazione. Per questo motivo, qualsiasi forma di amore “inutile”, ovvero che non permette all’uomo di riprodursi, venne considerata impura e ancora oggi malvista.
Take Me to Church” è una delle hit del momento, scritta e interpretata dall’irlandese Andrew Hozier.
       

Oltre ad aver raggiunto il successo mondiale (100 milioni di ascolti su Spotify e altrettante visualizzazioni su YouTube), la canzone ha saputo dare la giusta interpretazione a un tema assai delicato di questi tempi: la lotta contro le discriminazioni omofobe. “Credo che sia importante affermare ciò che riteniamo giusto, anche se a volte non è facile”, ha dichiarato Hozier in un’intervista. Un inno alla tolleranza e al rispetto che di questi tempi sono stati spazzati via dalle tante mentalità estremiste presenti nel mondo. Sì: “di questi tempi” credo sia una collocazione adeguata al fenomeno. Per una volta, noi “uomini del 2000” possiamo vantarci di essere ideologicamente più arretrati delle popolazioni precristiane.
Sono passati quarantadue anni da quando la APA (American Physical Association) ha riconosciuto che l’omosessualità non è una patologia psichiatrica come si credeva. 

Questa grande “scoperta” era già stata fatta dagli antichi greci e romani, i quali erano del tutto aperti a qualsiasi orientamento sessuale. In realtà, all’epoca, l’identità di genere non esisteva affatto. Allora non ci si doveva vergognare di rivelare la propria vera natura ai famigliari e amici, tantomeno di dover ricorrere agli psicologi. La pederastia, ovvero la relazione (non per forza amorosa) tra un adulto e un ragazzo, era all’ordine del giorno. Non si pensi all’antica Grecia come a una terra di pedofili a briglie sciolte! Innanzitutto, gli adulti, gli erastai, potevano corteggiare solo ragazzi adolescenti, quindi dai dodici anni in su. Inoltre, attraverso questa relazione, l’eromenos, ovvero il ragazzo, si arricchiva degli insegnamenti ricevuti dall’erastes, che comprendevano il senso civico, la cultura e l’amore. In cambio, il ragazzo si concedeva all’adulto finché, raggiunta la maggiore età, sarebbe diventato un erastes anche lui.
Più che l’antichità mi sembra di descrivere un mondo ideale, in cui non ci si deve nascondere perché diversi, perché innamorati. Sebbene nel corso dei secoli gli uomini si siano gradualmente discostati ideologicamente dalle Sacre Scritture, il diciottesimo versetto del Levitico sembra andare ancora oggi di moda: “Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio”. E fu così che gli omosessuali, che sono i primi a voler amare il loro prossimo come si deve, vennero condannati dal Cristianesimo.
Al Museo del Louvre è conservato un bellissimo vaso di epoca greca, raffigurante un uomo che bacia un ragazzo, probabilmente un suo discepolo.

A guardarlo oggi, attraverso la mentalità chiusa ancora molto diffusa, il vaso rappresenta la classica scena di cui molto spesso oggi sentiamo parlare: un pedofilo che abusa di un minore. Dieci anni di carcere e numerose sedute psichiatriche. Nell’ottica degli antichi greci, invece, attraverso quel bacio, l’erastes vuole trasmettere i suoi insegnamenti e le sue conoscenze al giovane uomo, il quale in cambio gli permette di assaporare la dolcezza della giovinezza perduta. 
Nel video di “Take Me to Church”, diretto da Brendan Canty, viene raccontata la storia d’amore di due ragazzi omosessuali, perseguitati da uno dei tanti gruppi omofobi presenti in Russia. Interamente girato in bianco e nero, il cortometraggio trasmette un messaggio universale: l’amore non ha colore né un’identità precisa. 
Si racconta che Gerone, il tiranno di Siracusa, innamoratosi del giovane Dailoco, commentò il fatto dicendo semplicemente: “È naturale che mi piaccia ciò che è bello”. Se l’amore è bello, ed è bello ciò che piace, perché ciò che piace non può essere amore?
L.C.